Dott. Simone Vigneri

Articolo 2 rivista n°8 di Medicina del Dolore
Giugno 2015

Unita’ Operativa di Medicina del Dolore
Direttore Dott. Gilberto Pari
Ospedale Privato S.M.Maddalena, Occhiobello (RO)

Nuove acquisizioni sui meccanismi di azione della neurostimolazione elettrica

La spinal cord stimulation (SCS) è una metodica interventistica per il trattamento del dolore cronico. Come tale è stata approvata nel 1989 dalla Food and Drug Administration (FDA), il principale ente americano di regolamentazione dei prodotti alimentari e terapeutici.
In particolare, tra le principali indicazioni della metodica vi sono il low back pain, il dolore radicolare e il dolore a significativa componente neuropatica poco responsive ad altre terapie.
La SCS vera e propria si effettua a livello midollare e agisce quindi sul sistema nervoso centrale (esiste una stimolazione di tipo periferico che però non rientra in senso stretto nella procedura di SCS) e prevede, previa anestesia locale, l’inserzione di un elettrodo in spazio peridurale al livello midollare/radicolare ove si concentra principalmente il dolore.
Una volta stabilizzato, l’elettrodo viene collegato ad un pacemaker (PM) esterno che funge da “telecomando” e “batteria”, e la ferita viene suturata. Si prevede un periodo di circa 30 giorni di test al termine dei quali, in caso di riduzione > 50% del dolore, si procede all’impianto di un PM sottocutaneo a livello gluteo o addominale. Questo complesso sistema è in grado di somministrare impulsi elettrici al midollo usualmente percepiti come formicolii non fastidiosi e la cui intensità può essere regolata dal paziente stesso.

Ma quali sono i meccanismi fisiologici alla base di questa metodica e come si spiegano i suoi effetti terapeutici sul dolore?

Sebbene non esista una chiara e definitiva risposta a tale quesito, le prime teorie chiamavano in causa la “gate control theory” di Melzack e Wall: poiché le fibre nervose nocicettive (Aδ e C) e quelle non-nocicettive (Aβ) interagiscono in modo reciproco, se uno stimolo nocicettivo e uno stimolo meccanico (o nel nostro caso elettrico) vengono trasmessi simultaneamente, la trasmissione dello stimolo algico sarà attenuata per via dell’azione eccitatoria svolta dalle fibre Aβ sull’interneurone encefalinergico che modula l’ingresso di “informazioni” al sistema nervoso centrale. 1

Successivamente sono stati chiamati in causa neurotrasmettitori eccitatori e inibitori a livello delle corna dorsali del midollo spinale.
Lo stimolo da SCS provocherebbe un incremento dei livelli di neurotrasmettitori inibitori rilasciati e una contemporanea riduzione di molecole “eccito-tossiche” come il glutammato.
Un ruolo potrebbe inoltre esser giocato sulla contemporanea inibizione del sistema nervoso simpatico in quei dolori alla cui patogenesi contribuisca il cosiddetto “dolore mantenuto dal simpatico”. In ogni caso, l’integrità delle colonne dorsali e soprasegmentali encefaliche è una condizione necessaria affinché la SCS abbia effetto. 2

Recentemente Buonocore ha valutato gli effetti della SCS in pazienti con dolore di diversa eziopatogenesi, sia sul nervo periferico che  sulla corteccia, attraverso una semplice registrazione
di potenziali periferici dal nervo surale e potenziali evocati somatosensoriali corticali (PESS).

I risultati di questi studi hanno mostrato che la stimolazione cordonale è in grado di evocare potenziali d’azione periferici ma riduce l’ampiezza dei PESS in maniera significativa, con rapido ripristino degli stessi potenziali quando si interrompe la SCS.

Di conseguenza si è ragionato su un possibile ruolo sul nervo periferico nel dolore neuropatico Aβ-mediato e un ruolo della “collisione di impulsi” sul cervello: la SCS promuoverebbe l’insorgere di potenziali che viaggiano in periferia interferendo con gli stimoli patologici che nascono dal focus neuropatico, ma darebbe il via anche a potenziali che raggiungono l’encefalo, permettendo al paziente di avvertire le parestesie nel territorio normalmente dolente.
La presenza di PESS registrabili prima del trattamento con SCS rappresenterebbe quindi una condizione essenziale per aspettarsi un successo terapeutico.
Tuttavia, da quanto osservato, una maggiore riduzione di ampiezza dei PESS in corso di SCS non correla con una migliore efficacia terapeutica a distanza di tempo. E’ quindi probabile che i meccanismi fisiologici responsabili del beneficio dei pazienti risiedano in fattori molteplici e complessi. 3,4

A conferma dell’assenza di correlazione tra entità del dato neurofisiologico e grado di successo della terapia/riduzione del dolore, una valutazione con test per soglie psicofisiche (QST) in uno studio pubblicato poco tempo fa su The Clinical Journal of Pain non ha mostrato significative differenze delle sensibilità termiche e meccaniche tra la fase di attività, o dopo spegnimento del neurostimolatore. 5

L’azione inibitoria della SCS sull’ampiezza dei PESS è stata confermata anche da altri studi recenti, e modelli sperimentali animali hanno suggerito che gli effetti terapeutici potrebbero dipendere da un aumentato rilascio di GABA (attivo su recettori GABA B) da parte di interneuroni inibitori e di acetilcolina (attiva su recettori muscarinici) a livello midollare, capaci di inibire il fenomeno del “wind up” grazie all’azione sui neuroni ad ampio range dinamico. Tali risultati non sembrano invece riprodursi in corso di stimolazione periferica con TENS.2,6

In conclusione, la SCS si presenta come uno strumento potente nella faretra dell’algologo che si trova a trattare il dolore neuropatico. Alcune luci sono state accese sui meccanismi d’azione di questa complessa metodica: la ricerca futura aiuterà a comprendere meglio le numerose zone d’ombra che ancora rimangono e che, probabilmente, aiuteranno anche a selezionare la miglior terapia per ogni singolo paziente.

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