Dott.ssa  Laura Ravaioli
Psicologa e psicoterapeuta
Medicina del Dolore e Spine Center

Dott.ssa Elena Lo Sterzo
Psicologa
Collaboratrice Arad Onlus Bologna

 

Nelle ultime decadi, la comprensione scientifica dei meccanismi sottostanti al dolore cronico aspecifico o ad origine sconosciuta è significativamente aumentata (Niis et al. 2011).
E’ diventato chiaro che la maggior parte dei casi di dolore cronico sono caratterizzati da un’alterazione dei processi a livello del sistema nervoso centrale. L’aumento della responsività dei neuroni centrali agli input provenienti dai recettori uni- e polimodali determina sensibilizzazione centrale, che è caratterizzata da una ipersensibilizzazione generalizzata o diffusa.

La sensibilizzazione centrale implica un alterato funzionamento dei meccanismi inibitori anti-nocicettivi discendenti “orchestrati” dal cervello e l’iperattivazione dei percorsi che amplificano e facilitano la percezione del dolore sia discendenti che ascendenti. Ciò comporta un’amplificazione, piuttosto che un’inibizione, della trasmissione nocicettiva.

La recente teoria della “neuromatrice” (Melzack 2005) descrive il dolore come “un’esperienza multidimensionale prodotta da un pattern di impulsi nervosi soggettivi, la neurosignature appunto, generati dalla matrice del Sé corporeo, una complessa rete neurale cerebrale ampiamente distribuita e ricorsivamente collegata.

Gli input in questa matrice sono rappresentati da tre dimensioni: i fenomeni collegati all’aspetto sensoriale-discriminativo (la trasduzione e la trasmissione nocicettiva); i fenomeni riguardanti l’aspetto affettivo-motivazionale (le variabili emotive accanto a quelle limbiche, neuro-ormonali e immunitarie); gli aspetti cognitivo-valutativi (le variabili toniche come quelle culturali, educazionali, personologiche, accanto alle variabili fasiche, come l’attenzione, l’aspettativa, l’ansia, l’umore).

Altre tre dimensioni rappresentano gli output della neuromatrice: la percezione del dolore (un percetto integrato delle tre dimensioni appena elencate dell’input, ovvero cognitivo-valutativa, motivazionale-affettiva e sensoriale-discriminativa); i programmi di azione (il comportamento involontario e volontario, le strategie di coping e la comunicazione sociale), i programmi omeostatici di regolazione dello stress (tutte le reazioni neuroormonali, immunitarie e del sistema oppioide endogeno). L’architettura di questa rete neurale, sebbene abbia una determinazione genetica, può modificarsi in funzione delle esperienze sensoriali.” (Silvestrini e Caputi, 2013). Questa modulazione può avvenire grazie a stimoli cognitivi, comportamentali o fisici dall’esterno (come, ad esempio, tramite esercizi di fisioterapia).
La sensibilizzazione centrale  implica anche un’alterata elaborazione sensoriale nel cervello: i pazienti con dolore cronico hanno una “pain signature” alterata (Silvestrini, Caputi 2013).

E’ una grande sfida per i clinici tradurre la scienza nella pratica: sono state prodotte linee guida cliniche per il riconoscimento ed il trattamento della sensibilizzazione centrale in pazienti con dolore cronico muscoloscheletrico (Nijs et al., 2014), tuttavia vi sono molte difficoltà nella loro applicazione.
Nijs si chiede, ad esempio, come sia possibile applicare gli interventi integrati che si basano sul concetto di sensibilizzazione centrale al colpo di frusta cronicizzato, in cui il paziente è convinto che il trauma iniziale al collo abbia causato un pesante danno cervicale che rimane invisibile alle moderne tecniche di imaging. 

Racconta anche il caso di un paziente con una moderata osteoartrite dell’anca, che gli chiede se “La cartilagine delle mie anche si sta sciogliendo a causa dell’erosione, causata da uno sforzo eccessivo dei miei arti inferiori?” ed è persuaso di non fare “alcuna terapia fisica perché peggiorerà il mio dolore all’anca e di conseguenza l’erosione della mia cartilagine”.

O ancora, riporta il caso di una paziente con fibromialgia convinta che il suo dolore ed i sintomi correlati siano dovuti ad un nuovo virus difficile da scovare, e che sarà difficile farla aderire ad interventi conservativi (Nijs et al., 2014).

E’ chiaro che, per questi pazienti, un trattamento unicamente fisioterapico o farmacologico potrebbe non avere successo. Prima di iniziare qualsiasi trattamento è necessario perciò ridurre la distanza tra le percezioni di malattia, di dolore e del trattamento che ha il paziente e quelle del professionista sanitario, portando a galla le credenze disfunzionali del paziente e riconcettualizzando assieme il dolore.

Il corso psicoeducativo si pone tra i suoi obiettivi quello di colmare questa distanza cognitiva ed emotiva tra paziente e terapeuta a partire da un’educazione sui meccanismi biologici del dolore.

Il corso psicoeducativo è attualmente uno strumento caldamente raccomandato per un approccio biopsicosociale che trasformi il trattamento o la gestione del dolore in una riabilitazione dal dolore (Lotze & Moseley, 2015) .

E’ stato dimostrato che i pazienti che hanno informazioni scorrette sul dolore, lo considerano più minaccioso, mostrano una tolleranza al dolore inferiore, hanno più pensieri catastrofici e strategie di coping meno adattive (Jackson et al.,2005). Anche l’aderenza ai trattamenti è inferiore in questi pazienti.
Un intervento psicoeducativo avrà anche lo scopo di aumentare la motivazione alla riabilitazione in coloro che presentano un dolore cronico imputabile a fenomeni di sensibilizzazione centrale. In pazienti con mal di schiena cronico, l’educazione sulla fisiologia del dolore altera le percezioni di malattia e, qualora combinata con la fisioterapia, migliora gli outcome funzionali e sintomatici (Moseley, 2002; Moseley, 2003b; Moseley et al., 2004; Moseley, 2005).

In uno studio controllato randomizzato, è stato dimostrato che fornire semplicemente un opuscolo informativo dettagliato sulla fisiologia del dolore e la sensibilizzazione centrale non ha modificato le percezioni di malattia o lo stato di salute in pazienti con fibromialgia, ma quando il medesimo materiale scritto veniva fornito nell’ambito di due sessioni psicoeducative riguardanti la fisiologia del dolore, il funzionamento fisico, mentale e la salute generale dei pazienti con fibromialgia sono migliorati (Ittersum et al., 2011; Van Oosterwijck et al., 2013).

Molte ricerche evidenziano che la psicoeducazione in pazienti che presentano diverse tipologie di dolore cronico, oltre a migliorare le conoscenze sulla biologia del dolore, migliora la partecipazione ed il coinvolgimento in successivi interventi di riabilitazione, diminuisce la tendenza alla catastrofizzazione e la paura del dolore e del movimento.

Il principio cardine alla base degli interventi psicoeducativi sul dolore è il riconoscimento di esso come fenomeno biopsicosociale. Dal punto di vista bio-psicologico, pensiamo al dolore come ad un’inferenza percettiva e all’esperienza di dolore come il risultato dell’elaborazione dell’individuo; l’ipotesi operativa sottostante la psicoeducazione del dolore è che si possa cambiare il valore di minaccia associato ad una certa gamma di input sensoriali (alcuni percepiti erroneamente come pericolosi), cosicchè la necessità di protezione da essi possa modificarsi in un’interpretazione non minacciosa degli stessi.

Da un punto di vista invece più sociale e relazionale, si presta attenzione ai vantaggi secondari che insorgono naturalmente in ogni condizione di malattia (in termini di esoneri lavorativi o di responsabilità, di attenzioni familiari) che rischiano di aumentare la condizione di passività del paziente, ma anche si considera lo stigma sociale e il pregiudizio legato al dolore cronico, poco conosciuto e riconosciuto nella sua dignità di malattia.

La nostra proposta prevede 2/3 incontri, di 2 ore ciascuno in un gruppo poco numeroso, con un conduttore Psicologo, dedicato ai pazienti con dolore cronico afferenti a Medicina del dolore, ma con la possibilità di partecipazione anche ai familiari interessati.

Gli obiettivi del corso psicoeducativo sono principalmente:

  • comprendere la complessità dell’esperienza dolore cronico, con le sue dinamiche e le conseguenze a livello psicofisico, relazionale e sociale,
  • imparare strategie per una sua migliore gestione a livello emotivo, cognitivo e comportamentale,
  • migliorare la comunicazione con l’equipe medica.

Il corso viene proposto ai pazienti che, in base alla valutazione clinica dell’algologo e in base ai questionari somministrati nelle prime visite algologiche, presentano degli aspetti indicativi di Sensibilizzazione Centrale, valutata anche grazie al Central Sensitization Inventory (Mayer et al. 2012) e/o manifestano credenze disfunzionali riguardo al dolore, alle sue possibilità di trattamento ed alla modalità di gestione dello stesso, in particolare, secondo il concetto di catastrofizzazione misurato dalla Pain Catastrophizing Scale (Sullivan et al, 1995).

I criteri di esclusione sono la presenza di severa psicopatologia o gravi deficit cognitivi che non consentirebbero alla persona di fruire del corso in maniera proficua e potrebbero avere ripercussioni nocive per l’intero gruppo.

Nell’ambito del primo incontro, verrà illustrato il razionale del corso e saranno discussi gli aspetti pratici. Dopo le presentazioni del professionista, dei partecipanti e degli obiettivi si cercherà di focalizzare l’attenzione su quelle aree di piacere (lavoro, hobby, sport, etc.) che contrastano l’attenzione selettiva sulla malattia dolore.

In questo primo incontro saranno anche somministrati alcuni test/questionari che comprendono: una batteria standard di valutazione multidimensionale dell’esperienza di dolore, con la scala numerica di intensità del dolore (NRS), un questionario multidimensionale (QUID, De Benedittis, 1988) e un questionario sulla qualità di vita (SF-12, valid. Italiana G. Apolone, P. Mosconi et al.) per sensibilizzare sulll’utilità di questi strumenti (non esistendo un “termometro del dolore”) e motivare all’importanza della comunicazione dell’esperienza soggettiva di dolore all’equipe. Sarà poi  introdotto, attraverso il Pain Vigilance and Awareness Questionnaire (Monticone et al., 2016), il concetto di componente psicologica che influenza l’approccio alla malattia-dolore.

L’utilità della somministrazione di tali strumenti è la presa di consapevolezza da parte del paziente delle varie componenti che giocano un ruolo sulla percezione del dolore, consapevolezza che costituisce il prerequisito necessario per poterle poi individuare e differenziare nella quotidianità, ed anche per poter agire su di esse (ad esempio: la tendenza a monitorare continuamente il dolore contribuisce a farlo apparire come più minaccioso nell’immediato, e ridurre quindi i comportamenti di monitoraggio può far diminuire la percezione dolorifica). Lo scopo dell’impiego di questionari è anche il monitoraggio nel tempo dell’andamento e dell’efficacia del trattamento nell’equipe multidisciplinare, e per questo motivo saranno risomministrati al paziente dopo 9 mesi.

Con un linguaggio semplice e l’utilizzo di esempi e metafore, saranno fornite spiegazioni neurobiologiche specifiche del dolore cronico e sottolineata l’importanza dell’approccio soggettivo all’esperienza del dolore, incoraggiando anche la condivisione di esperienze personali.  Le narrazioni esperienziali dei pazienti devono costituire un ruolo chiave di guida nella riabilitazione e di facilitazione della modifica concettuale e comportamentale (Lotze and Moseley, 2015). Diverse ricerche hanno mostrato che i concetti della psicoeducazione al dolore possono essere compresi da persone con diversi background socioeconomici ed educativi (Moseley 2003) e che le metafore e le storie sono un metodo utile per presentare informazioni nuove e complesse.

Nel secondo incontro lo psicologo riprenderà il concetto di sensibilizzazione centrale parlando dei fattori somatici, psicosociali e comportamentali legati al dolore. Verrà discusso con i pazienti come le informazioni fornite possono essere applicate nella realtà quotidiana e verranno proposte modalità di coping e gestione del dolore più adattive, come ad esempio darsi il ritmo giusto nei movimenti, imparare tecniche di rilassamento e suggerimenti per migliorare la qualità del sonno.

Nell’ottica del trattamento integrato interdisciplinare del dolore cronico, l’educazione alla fisiologia del dolore è un processo continuo che inizia con sessioni psicoeducative dedicate prima dell’inizio di un trattamento riabilitativo (di fisioterapia, ad esempio), e continuato durante tutto il percorso di cura e riabilitazione.

Sarà importante introdurre le fasi successive della riabilitazione già nel percorso psicoeducativo, spiegando perché e come ogni “tassello” di trattamento potrà contribuire alla riduzione dell’ipersensibilità del sistema nervoso centrale (Nijs and Van Houdenhove, 2009).

Per tale ragione si prevede che nell’ultima parte del secondo e ultimo incontro intervenga il fisioterapista, per introdurre le modalità e gli obiettivi del trattamento fisioterapico, ed anche per rilevare le aspettative e le credenze dei pazienti riguardo alla fisioterapia, eventualmente “aggiustandole” qualora fossero irrealistiche.

A conclusione dell’intervento verrà proposta ai pazienti la compilazione in forma anonima di un adattamento italiano del “Neurophysiology of Pain Test” (Moseley, 2003), congiuntamente ad un questionario di gradimento del corso, allo scopo di verificare l’efficacia dell’intervento nel trasmettere i concetti ed anche la piacevolezza e l’utilità percepita dai pazienti nella frequenza del corso.

Il corso psicoeducativo si pone quindi come “snodo” cruciale e porta d’accesso al trattamento interdisciplinare del dolore cronico, trattamento che potrà essere medico-farmacologico, fisioterapico e/o psicologico. Relativamente agli aspetti più propriamente psicologici, non è raro che si sviluppino infatti importanti sintomatologie ansiose e/o depressive secondariamente all’esperienza di dolore cronico, ma è altresì possibile che siano presenti disturbi dell’umore o di personalità antecedenti al dolore cronico: in entrambi i casi, è opportuno che questi sintomi siano presi in carico attraverso un percorso psicoterapeutico individuale, in quanto costituiscono un fattore di mantenimento del dolore ed un fattore prognostico negativo nel processo riabilitativo.

E’ importante evidenziare che questo corso desidera anche aiutare i pazienti a superare la resistenza o il timore ad affrontare i fattori emotivi, aventi un’importanza fondamentale nel dolore cronico, ma che spesso vengono interpretati come sfiducia da parte del medico verso la veridicità dei sintomi fisici riportati (“se il dolore è nella mia testa, vuol dire che non esiste, che me lo sono inventato?”). L’idea che si vuole trasmettere è che il dolore, pur orchestrato dal cervello, è reale e tangibile.

Corpo e mente sono un sistema unico: riconoscere questo potrebbe aiutare i pazienti a dare maggiore dignità alle loro emozioni, vedendo anch’esse come un aspetto importante di cui prendersi cura.