Commento all’articolo “Applying Modern Pain Neuroscience in Clinical Practice: Criteria for the Classification of Central Sensitization Pain”

Dott. Matteo Zanella

Unita’ Operativa di Medicina del Dolore,
Ospedale Privato S.M.Maddalena, Occhiobello  (RO)
Spine Center e Medicina del Dolore

L’esperienza dolore acuto è presente in ciascuno di noi, sia come clinici nell’identificazione quotidiana di patologie che hanno nell’espressione algica il segno che le contraddistingue, sia come persone per qualsiasi evento che possa essere lesivo, potenzialmente lesivo o comunque doloroso.

La nocicezione come fenomeno elettro-chimico è stata studiata dalla comunità scientifica in modo approfondito tanto da essere patrimonio pressoché comune. Solo più recentemente si è iniziato a studiarlo non come un fenomeno puramente recettoriale, ma soggetto ad una mediazione da parte dei sistemi neuronali superiori.

Il dolore cronico, invece, è comunemente visto come quel dolore che persiste nel tempo, per mesi o anni dopo l’evento iniziale.
Il semplice concetto temporale è troppo limitante per la sua identificazione e caratterizzazione. Il classico esempio del dolore da osteoartrosi ha le caratteristiche temporali di quello che generalmente si identifica come dolore cronico, anche se in realtà spesso si è solamente di fronte ad una situazione di persistente stimolazione dei nocicettori.

Fortunatamente, solo una piccolissima percentuale di questi pazienti è invece soggetta alla cronicizzazione di tale condizione. Non si tratta quindi di un prolungamento nel tempo del dolore acuto, ma una sorta di mal adattamento ad esso.
Infatti, l’assenza della lesione iniziale che dava vita alla nocicezione, modificazioni del sistema periferico atto alla percezione del segnale e alla sua integrazione spinale e variazioni del sistema centrale, sono alla base del dolore cronico.

Queste e altre modificazioni che avvengono a livello del midollo spinale sono note come sensibilizzazione centrale, e risultano essere di primaria importanza nel dolore cronico. La capacità da parte del clinico di poter leggere tale condizione nel paziente che si trova di fronte è di primaria importanza per poter intervenire e frapporsi nel meccanismo che conduce alla cronicizzazione.

Quando questo non fosse possibile, è auspicabile avviare dei programmi terapeutici che non hanno come target il solo pain generator, come spesso capita nel dolore acuto, ma tutto il sistema che è alla base sia della sensibilizzazione centrale che del dolore cronico.

Nasce in questo modo l’esigenza di costituire uno strumento in grado di poter identificare quel tipo di dolore sostenuto dalla sensibilizzazione centrale in modo certo e universalmente riconosciuto.

Nell’articolo del 2014 “Applying Modern Pain Neuroscience in Clinical Practice: Criteria for the Classification of Central Sensitization Pain” pubblicato su Pain Physician, gli autori propongono un algoritmo di classificazione per differenziare il dolore neuropatico dal dolore nocicettivo e dal dolore da sensibilizzazione centrale.

Il dolore neuropatico viene identificato con la classificazione della IASP, mentre per la distinzione tra dolore nocicettivo e dolore da sensibilizzazione centrale vengono proposti tre criteri principali che devono essere soddisfatti: l’esperienza del dolore sproporzionato rispetto alla natura e all’entità del danno o patologia,la diffusa distribuzione del dolore, allodinia, e iperalgesia, l’ipersensibilità non collegata al sistema muscolo-scheletrico.

Vengono inoltre suggeriti una serie di segni e sintomi non esclusivi, ma spesso presenti che posso aiutare nell’identificazione.

Anche se ancora non validato e comunque con la necessità di dover essere oggetto di ampi studi, tale algoritmo risulta di facile interpretazione e applicazione, sfruttando un modello biopsicosociale del dolore con la necessità di introdurre valutazioni psicocomportamentali di pazienti a rischio o con diagnosi incerte.