Dott.ssa Laura Ravaioli (psicologa)
Unità Operativa di Medicina del Dolore, Ospedale Privato S. M. Maddalena (Occhiobello, RO)
Dott.ssa Camilla Olivieri
Segreteria Scientifica Advanced Algology Research
estratto dalla Rivista “Medicina del Dolore”, Dicembre 2011

Nell’interessante articolo pubblicato sul Journal of Clinical Investigation (2010, Vol 120 n°11)   “What is this thing called pain?”, Clifford J. Woolf riprende la famosa canzone del 1926 di Cole Porter per introdurre la sensazione misteriosa che si prova di fronte all’esperienza dolore e che può diventare sconcerto, sia dei pazienti quanto dei medici, di fronte a quelle patologie in cui il dolore diventa malattia.

Woolf, che molti ricorderanno per aver elaborato lo STEP (Standardized Evaluation of Pain), uno strumento di valutazione del dolore neuropatico, lavora presso il Programma di neurobiologia ed il Dipartimento di Neurologia del Children’s Hospital di Boston ed al Dipartimento di neurobiologia dell’Harvard Medical School di Boston.

Mentre l’amore, di cui si parla nella canzone, ancora rimane un mistero, nella conoscenza del dolore si stanno facendo dei sostanziali progressi.

Innanzitutto, rispetto alla classificazione del dolore, egli spiega che il dolore in verità è tre cose molto diverse, sebbene noi e molti dei nostri dottori comunemente falliscano nel distinguerle.

“Primo, esiste un dolore che agisce come un sistema fisiologico di allarme protettivo precoce, essenziale per percepire e minimizzare il contatto con stimoli dannosi o nocivi. Questo è il dolore che sentiamo quando tocchiamo qualcosa di troppo caldo, freddo o tagliente. Poiché questo tipo di dolore riguarda la percezione di stimoli dannosi, viene chiamato dolore nocicettivo, un dolore con soglia molto elevata attivato solo in presenza di stimoli molto intensi. L’apparato neurobiologico che genera il dolore nocicettivo si è evoluto dalla capacità, comune persino ai più primitivi sistemi nervosi, di segnalare un danno tissutale imminente o in corso derivante da stimoli ambientali. Il suo ruolo protettivo induce immediatamente un’azione e una reazione, che avviene in virtù dei riflessi di retrazione attivati, dell’intrinseca sgradevolezza della sensazione provocata e dell’angoscia risvegliata.

Il dolore nocicettivo si presenta come qualcosa da evitare subito, e quando risvegliato, il sistema prevale sulla maggior parte delle funzioni neurologiche.

Il secondo tipo di dolore è adattativo e protettivo. Aumentando la sensibilità in seguito ad un danno tissutale inevitabile, questo tipo di dolore assiste nella guarigione della parte danneggiata creando una situazione che scoraggia il contatto fisico e il movimento. L’ipersensibilità al dolore, o fragilità, riduce ulteriori rischi di danneggiamento e promuove il recupero, come dopo una ferita chirurgica o in una articolazione infiammata, dove normalmente stimoli innocui ora provocano dolore.

Questo dolore è causato dall’attivazione del sistema immunitario a causa del danno dei tessuti o dell’infezione, e perciò viene chiamato dolore infiammatorio; infatti, il dolore è una delle caratteristiche principali dell’infiammazione. Anche se questo dolore è adattativo, deve comunque essere ridotto nei pazienti con infiammazione in corso, come nel caso delle artriti reumatoidi o in caso di lesioni severe o estese.

Infine c’è quel tipo di dolore che non è protettivo, ma maladattativo, che deriva cioè dal funzionamento anomalo del sistema nervoso. Questo dolore patologico, che non è un sintomo di un qualche tipo di disturbo, ma piuttosto uno stato di malattia del sistema nervoso, può manifestarsi in seguito ad un danno del sistema nervoso (dolore neuropatico), ma anche in condizioni in cui tale danno o infiammazione non è presente (dolore disfunzionale).

Condizioni che suscitano un dolore disfunzionale includono fibromialgia, sindrome del colon irritabile, cefalea censiva, disturbi dell’articolazione temporomandibolare, cisti interstiziali, e altre sindromi in cui è presente un dolore sostanziale ma nessuno stimolo dannoso e nessuna, o comunque minima, patologia infiammatoria periferica.

Ci e’ piaciuta questa analogia: “se il dolore fosse un allarme antincendio, il dolore nocicettivo sarebbe attivato solo dalla presenza di calore intenso, il dolore infiammatorio sarebbe attivato da temperature calde, e il dolore patologico sarebbe un falso allarme causato dal malfunzionamento del sistema stesso. L’effetto finale in tutti e tre i casi è la sensazione che noi chiamiamo dolore. Tuttavia, poiché i processi alla base di ognuno di essi sono abbastanza diversi, i trattamenti devono essere mirati al meccanismo responsabile.”

Il dolore nocicettivo in chirurgia ed in altre procedure cliniche che coinvolgono stimoli nocivi può essere soppresso da farmaci anestetici generali e locali o oppioidi ad alto disaggio, ma svolge anche un’importantissima funzione di protezione, come ci mostrano quelle situazioni in cui insensibilità congenita o indifferenza al dolore può incorrere in automutilazioni, fratture ossee, cicatrici multiple, deformità delle articolazioni, amputazione e morte precoce.

Dunque, continua Woolf “l’importanza di preservare il dolore nocicettivo viene confermata quando una neuropatia periferica porta ad una denervazione sensoriale delle articolazioni, con conseguente neuro-osteopatia di Charcot, con severe deformità dovute alle articolazioni danneggiate a causa della mancanza di sensibilità al dolore. Il dolore nocicettivo perciò è un dolore essenziale al mantenimento dell’integrità dell’organismo. Sebbene usiamo clinicamente analgesici per ridurre il dolore (come riportato da Burgess a Williams), ciò nonostante dobbiamo prestare attenzione a che il dolore nocicettivo del paziente non sia così indebolito dalla terapia da perdere il suo ruolo protettivo.(…) Persino negli stati di malattia, il dolore nocicettivo può essere protettivo; per esempio, l’uso eccessivo di un’articolazione osteoartritica determinata da un completo sollievo dal dolore può plausibilmente accelerare la distruzione dell’articolazione. Perciò, trattamenti sintomatici senza interventi che modificano la malattia possono essere problematici in alcune circostanze.”.

La conoscenza del dolore si è avvantaggiata anche della decodificazione della sensazione a livello molecolare, effettuata dagli studi di Dubin e Patapoutian che hanno riportato come uno specifico set di neuroni sensitivi sia specializzato nel rispondere solo a stimoli dannosi attraverso l’espressione di proteine che rilevano caldo intenso, freddo, stimoli meccanici e chimici e li trasducono in impulsi nelle fibre sensoriali periferiche terminali che poi attivano potenziali d’azione, e questo si può considerare “uno dei più grandi successi della moderna neurobiologia del dolore. Tuttavia, anche se è chiaro che ci sono canali sensoriali specifici legati al dolore nel sistema nervoso periferico che veicolano il dolore nocicettivo, è altrettanto chiaro che la sensazione deriva sia dall’attivazione di queste “linee dedicate”, sia dall’interazione tra differenti canali sensoriali, come riportato da Ma. Inoltre il dolore non è semplicemente un interruttore che, una volta attivato nella periferia, inevitabilmente risulta un una trasmissione del segnale alla parte della corteccia dove avviene la consapevolezza della sensazione. Come riportato da Ossipov et al., il dolore infatti implica una regolazione attiva attraverso circuiti eccitatori ed inibitori nel sistema nervoso centrale, controllata primariamente dai nuclei nel tronco encefalico, che possono sia diminuire che amplificare il dolore in base all’umore, alle funzioni cognitive e ai ricordi. La funzione di questi circuiti modulatori del dolore appare disturbata in diverse condizioni patologiche, contribuendo ad una amplificazione anormale del dolore.”

Quindi, un aspetto che Woolf tiene a sottolineare è che se le influenze corticali amplificano il dolore, esse possono anche ridurlo, rappresentando così la base esplicativa neurobiologica per la risposta placebo e la suggestione o per terapie alternative come l’agopuntura.

Inoltre, le procedure di imaging funzionale applicato a volontari e pazienti ha permesso la definizione di quelle aree del cervello attivate dagli input nocicettivi, permettendo di “visualizzare il dolore” o comunque di rilevare quelle aree del cervello che costituiscono la cosiddetta “pain matrix” “queste aree sono attivate durante la codifica della localizzazione del dolore nocicettivo, della sua intensità, durata, qualità e delle relazioni emozionali e mostra come il dolore può essere influenzato da attenzione, distrazione e manipolazione dell’umore.

Perciò, grazie a queste ricerche l’attenzione si è focalizzata sulle importanti componenti non sensoriali del dolore e si è arrivati alla conclusione che il dolore cronico è associato ad apparenti variazioni del cervello, rafforzando la visione dello stesso come una malattia del sistema nervoso.”

Woolf esplicita quindi che la principale caratteristica del dolore infiammatorio e del dolore patologico consiste nel fatto che gli stimoli nocivi non sono più richiesti per generare il dolore e che il dolore in questi casi può nascere spontaneamente in assenza di qualsiasi stimolo.

“Sforzi considerevoli sono stati spesi per chiarire che il sistema nocicettivo è in grado di sopportare enormi cambiamenti o plasticità quando è esposto a mediatori dell’infiammazione e a fattori di crescita, in risposta all’attività ed in seguito al danno. Questi cambiamenti avvengono nei nocicettori, i cui terminali periferici divengono sensibilizzati durante l’infiammazione. Inoltre, gli assoni possono diventare sufficientemente ipereccitabili da generare potenziali d’azione spontanei, i corpi cellulari subiscono drammatici cambiamenti nell’espressione e nello scambio di proteine, e le sinapsi nel midollo spinale possono variare la loro forza e subire una riorganizzazione strutturale. Simili cambiamenti avvengono nel midollo spinale e nel cervello, coinvolgendo neuroni e cellule non neuronali, e queste variazioni sono responsabili della facilitazione delle risposte a stimoli periferici – un fenomeno chiamato sensibilizzazione centrale – cosicché la soglia di generazione del dolore cala e la sua durata, ampiezza e distribuzione spaziale aumentano. Essenzialmente questo rappresenta una separazione del dolore nocicettivo dall’assoluto bisogno di stimoli dannosi.

Una grande differenza tra dolore infiammatorio e patologico è che il primo rappresenta l’ipersensibilizzazione come reazione ad una patologia periferica definita, mentre il secondo è il risultato di un processo neuronale alterato.”

L’autore sottolinea l’importanza del ripensare all’ipersensibilità ed al processo di cronicizzazione del dolore, ma aggiunge anche la necessità di definire al più presto il tipo di popolazione a rischio e di reperimento dei mezzi per ridurre tale rischio.

L’autore conclude scrivendo che è estremamente incoraggiante che il dolore si sia mostrato un soggetto adatto alle investigazioni genetiche, molecolari, elettrofisiologiche, o a tecniche di imaging e comportamentali e che “tali studi hanno fornito una visione della natura e dei meccanismi del dolore e un percorso per sviluppare nuovi analgesici con una maggiore efficacia e minori effetti collaterali, qualcosa di cui si sente davvero la necessità.”